Posizionato nel versante occidentale del territorio, esso risulta essere un monumento naturale individuato e tutelato come tale, dalla Legge Regionale n°31 del 1989.
Il tacco di Texile, con un altezza di m.9,75 è caratterizzato da bordi che, essendo più erosi alla base che alla sommità, gli danno l'aspetto di un enorme fungo.

   
       
   
 

Long. 9.266500
Lat. 39.927868

 
 

La pietra, situata in località 'Su Carraxone' nei pressi di una zona nuragica, si presume possa essere una pietra sacrificale.

La storia, narra che queste pietra sacrificali, venissero utilizzate per compiere riti sacrificali con lo scopo propiziatorio.

 
Su queste pietre, venivano sgozzati gli animali offerti in sacrificio alle divinità; il loro sangue, fatto scolare nel canaletto in qualche recipiente, veniva usato per fare le unzioni culturali e probabilmente anche per essere cucinato e mangiato dai fedeli nei loro pasti rituali. La lavorazione di queste pietre, che è sempre molto accurata, esclude l'ipotesi che esse potessero avere una qualsiasi funzione pratica. Le misure di queste tavole sacrificali sono tali che si è indotti a ritenere che vi venissero sacrificati con sgozzamento, al massimo ovini e suini. Il ritrovamento di altre tavole sacrificali, rinvenute in Sardegna, questa volta di piccole dimensioni, ci fa pensare che tra gli animali sacrificati nei santuari nuragici, vi fossero anche i volatili. Con grande probabilità, si tratta di colombe oppure galli e galline poichè, venivano frequentemente rappresentate nei bronzetti nuragici.
   
                                       
     
 

Long. 9.239343
Lat. 39.931798

   
     
                           
 
La sepoltura, in località Seilatzu nei pressi del Rio Corruda, scavata su di una parete scistosa, si presenta oltre che molto semplice in condizioni di pessimo stato di conservazione. L'apertura, a circa 50 cm dal piano di campagna si presenta, nella parte sinistra, completamente corrosa dagli agenti atmosferici. L'interno della cella, monocellulare, si presenta con una pianta irregolarmente ellittica e con andamento curvilineo.
   
  (in regione Forros)
 

Long. 9.227377
Lat. 39.918825

 
 
Il complesso ipogeico, sito in località 'Is Forros', costruito su una parete scistosa si presenta costituito da due sepolture. La prima, posizionata sulla destra della parete rocciosa, si presenta con un'apertura quadrangolare a circa 60 cm. dal piano di calpestio. All'interno, di tipo monocellulare, si presenta molto semplice e piccola, tracce ossee di animali fanno pensare che tutt'oggi la grotticella venga utilizzata dai pastori come ricovero temporaneo per il bestiame. La seconda sepoltura invece, posizionata a circa due metri a sinistra dalla prima, presenta un'apertura quadrangolare posizionata a circa 1,30 cm dal piano di calpestio. La cella, di forma quadrangolare e soffitto piano, presenta nella parete settentrionale una seconda apertura che, trovandosi a circa 30 cm dal piano di calpestio, dà accesso ad un ulteriore ambiente.
   
 

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Long. 9.262743
Lat. 39.923717

 
                   
 
 

La tomba, posizionata a circa 300 metri in direzione nord dell'omonimo nuraghe, si presenta in buono stato di conservazione. L'ingresso, rivolto ad Est, dà accesso alla tomba di pianta rettangolare lunga circa 10 metri e alta circa 1,20 cm. costituita da conci ben sagomati e disposti a filari regolari.

 

 

Long. 9.263048
Lat. 39.926697

       
 

 

Long. 9.208263
Lat. 39.942175

 
 

La tomba, sita in località Perda Istanagialoi, nelle vicinanze del Rio Bau Alasi in una zona interessata al pascolo e alla coltivazione, conserva ancora oggi la camera funeraria di pianta rettangolare costituita da conci ben sagomati disposti a filari regolari. Nelle immediate vicinanze, invece, sono visibili ancora dei blocchi appartenenti all'esedra.

   
                                       
 

(Cattura Avvoltoi)

   
 

Is Unturgerasa, sono delle trappole utilizzate dai pastori per la cattura degli avvoltoi.
Colpevoli di cacciare agnelli e capretti, gli avvoltoi, venivano spesso attirati con delle carogne dentro queste singolari trappole dalle quali non riuscivano più a riprendere il volo impeditogli dalla pesantezza e dal muro che li circondava.

   
         
                 
                                       
 

   
 

Fatto costruire nel 1917 in stile neo gotico, il castello è appartenuto fino al 1954 alla Famiglia Arangino, estintasi proprio in quell'anno per un fatto di sangue.
La costruzione ha una pianta asimmetrica, corrispondente all'aspetto esterno irregolare: l'uso della pietra a vista del prospetto principale è reso meno pesante dalle aperture e soprattutto, dalla loggia retta da mensole e colonnine nell'angolo.

   
 
L'apertura principale ad arco a sesto acuto è affiancata da due colonne su mensole che reggono la cornice coperta con le tegole. Un bel cancello in ferro battuto immette nell'atrio scoperto dove sono visibili sia gli archi acuti che contengono piccole aperture rettangolari, sia i merli nella parte alta dei muri.
All'interno sono presenti decorazioni dipinte e a stucco.
         
 
  Le vecchie carceri o “Sa Bovida” si trovano in un vecchio edificio del ‘700 adibito fino al dopoguerra come carcere di massima sicurezza.
L'edificio, realizzato con materiale scistoso e legno di castagno, è caratterizzato da un sottopassaggio a sesto acuto “Sa Bovida” (la volta) di origine ispanica dove, nel cortile interno si può ammirare anche un' antica meridiana.
 

Gli ambienti interni, oggi completamente ristrutturati, constano di un piccolo locale che anticamente era utilizzato come postazione di sorveglianza, di due camere (celle) riservate alle donne e una terza camera, priva di qualunque apertura, destinata ai prigionieri.
Aritzo conobbe la dominazione aragonese nel XV secolo quando il giudicato venne trasformato in marchesato.
Vengono impropriamente definiti 'carceri francesi' per via del fatto che nel 1793 a seguito dello sfortunato sbarco tentato dalle truppe francesi, comandate da Napoleone al nord Sardegna, almeno 16 prigionieri francesi vennero dislocati nel carcere di Aritzo.

               
                                   
 

Situata nella via corso Umberto, oggi, di proprietà comunale, la villa oltre ad essere un importante testimonianza della storia locale, rappresenta il modello della tipica abitazione dell'agiata borghesia contadina delle zone di montagna. La villa, è strutturata su due piani più una soffitta, con pavimenti e balconi in legno di castagno. Presenta un cortile interno, caratteristica nobiliare per quel periodo e nel piano terra, si trovano dispense, cantine, depositi per l'olio e per il grano e numerosi oggetti di valore, come le giare e i piccoli frantoi delle olive, la mola per macinare il grano e ancora il torchio per le vinacce.

 
   
   
 
 
Nelle soffitte sono presenti i 'graticci' dove venivano conservate le castagne mentre, nei piani intermedi, dove la famiglia viveva, si possono ammirare i quadri antichi che riproducono i personaggi della dinastia ma anche numerosi libri di carattere religioso e giuridico, alcuni del 600 che, verranno presto restaurati dalla Soprintendenza dei Beni Culturali.