I popoli della Barbagia (Belvì,Tonara), prosperarono anche nel commercio di laterizi. I forni, infatti, presenti ancora oggi nel territorio permisero la produzione di mattoni e tegole che venivano esportati anche negli altri paesi della Sardegna.

 
...Tiu Simone Loche, quel terreno alla periferia del paese, lungo la strada che collega Tonara a Tiana, l'aveva preso in affitto nel 1935.
Diventò di sua proprietà quando, lo comprò al prezzo di 800 lire. L'aveva voluto in quanto, erano presenti ricchi filoni d'argilla, utili per la produzione di laterizi quali: mattoni, tegole e mattonelle. Proprio quanto voleva e sapeva fare, avviare cioè un laboratorio artigianale che trasformasse la materia prima in prodotto finito.
       
Stipulato il contratto d'affitto, si mise immediatamente a lavoro tirando su una costruzione, spianò il terreno con le sole forze delle sua braccia e riuscì a ricavare degli spazi, 'sa prazza manna' e 'sa prazzitta', dove venivano lavorati e messi ad asciugare i manufatti prima della cottura ed infine, costruì il forno, 'su forru'. La sua architettura non richiama le classiche forme dei forni, in genere con pianta circolare e pareti curve
 

Mattone

 

Forno dei mattoni di Belvì

località Pitzu e' Pranu

che vanno a chiudersi a cupola. Tutt'altra cosa infatti, è 'su forru': una camera vera e propria con pareti verticali costruite con pietrami di calcare, legato con malta ottenuta impastando la sabbia, costituita da granuli di quarzo tipica del luogo, con la calce, sempre prodotta a Tonara.
La parete frontale, aveva un'apertura, 'sa ucca e su forru', di dimensione 0,80 x 1,00 attraverso la quale, veniva alimentato il forno durante la cottura, con fascine di frasche, preferibilmente d'erica.
All'interno, le pareti erano rivestite dai mattoni rossi prodotti nello stesso forno, con la proprietà di essere refrattari, quindi molto resistenti alle temperature.
Il forno, non è chiuso in quanto, la volta è assente e, alla base, addossate alle pareti laterali per tutta la loro lunghezza, venivano costruiti dei muretti non più alti dell'imboccatura stessa lasciando tra l'uno e
   

l'altro uno spazio, un vero e proprio corridoio che fungeva da camera di combustione.
Su questi muretti, veniva disposto il materiale di cottura, la cui disposizione, assumeva forme romboidali che permettevano una maggiore circolazione del calore fra i diversi pezzi, ottimizzandone la cottura. I mattoni, posti sopra i muretti, pian piano debordavano fino a formare dei centri concentrici che andavano a chiudersi formando, una vera e propria volta, sulla quale venivano adagiate le tegole che, strato su strato, raggiungevano la sommità del forno. Alla fine dell'operazione di carica, il tutto veniva coperto con uno strato di mattoni già cotti, con la funzione di fare da tappo al forno ma anche di mantenere costante la temperatura interna in quanto refrattari.

             
         
Per portare a termine una carica completa erano necessari tempi molto lunghi, circa un mese di lavoro che vedeva impegnato tutto il nucleo familiare.
Da questo momento, aveva inizio l'ultima fase, ossia quella dell'accensione della legna e del frascame introdotti preccedentemente nel corridoio centrale. Man mano che bruciava, il forno, veniva continuamente alimentato con le fascine in modo da tenerne costante la temperatura interna. Nei 5, 6 giorni di cottura, erano necessarie diverse migliaia di fascine e, dal modo in cui fuoriusciva il fumo, frammisto a piccole fiammelle, ci si rendeva conto se tutto procedeva nel migliore dei modi.

Forno dei Mattoni di Tonara

Loc. Ottazzè

   
         
Una volta portata a termine l'operazione, si aspettava fino al completo raffreddamento del forno e del suo contenuto e a tal punto si poteva cominciare a svuotarlo. Se qualche pezzo perdeva la sua forma originale stava a significare che era stato sottoposto ad una temperatura superiore a quella necessariamente richiesta . La maggior parte della produzione, veniva esportata ai paesi vicini e, il trasporto veniva fatto per mezzo dei carri a buoi , principale mezzo di trasporto di quel tempo.
   
     

Tegola

Le forme delle tegole, venivano realizzate grazie ad una piastra in ferro inchiodata all'estremità del banco.
Sulla piastra, veniva tirata una sfoglia umida che trasferita in una forma in legno , prendeva l'aspetto desiderato.
Le tegole fresche, venivano bel allineate e portate sulle forme di legno, in 'sa prazzitta' per farle asciugare al sole. L'argilla, veniva frantumata con gli scalpelli e posta al sole ad asciugare. Una volta sfarinata con i piedi veniva

   
     

trasportata con le carriole e riposta nelle vasca piena d'acqua le quali, incassate nella terra, si presentavano con pareti in legno di castagno e fondo in argilla.
La materia prima, lasciata in ammollo per un'intera giornata dentro le vasche, dopo aver assorbito tutta l'acqua, veniva estratta e lavorata con un maglio in legno fino ad ottenere una pasta elastica.

   

Forno della Calce di Belvì

Località Pitzu 'e Pranu

Dai forni presenti sul territorio della Barbagia, pur essendo quella della lavorazione della calce, un'attività risalente a circa 4000 anni fa, ci fanno pensare ad un perfezionamento dell'attivata verso il XVII secolo quando, per l'appunto si diffuse il forno ad imbuto ossia, una costruzione cilindrica incassata dentro una roccia per circa l'80% e il restante 20% occupato da un muro di pietre calcaree, il tutto, ad un'altezza di circa 6 metri ed un diamentro di circa 4,50 metri.

Il processo produttivo, ha inizio con la ricerca e cavatura del materiale calcareo, i sassi destinati alla cottura, prevalentemente bianchi, perché più adatti alla trasformazione, venivano disposti ad arco all'interno del forno stesso in modo da costruire una volta sopra la zona del focolare, facendo attenzione a posizionare le pietre più grosse alla base e poi proseguendo con quelle più piccole fino alle fiancate cilindriche.
L'entrata (bochella), per alimentare il forno con il combustibile prevalentemente con legno di..... e fascine, dotate di alto potere calorifico, si trovava nella parte bassa e doveva essere riempito cercando di far passare la fiamma attraverso più strati di pietre in modo omogeneo.

Il processo di cottura, poteva durare anche 8 giorni con l'utilizzo di 8, 9 mila fascine al fine di produrre circa 450 quintali di calce e terminava quando, dal foro lasciato precedentemente in alto (Chiave) per la fuori uscita del fumo si intravedeva del fumo bianco.
A cottura ultimata, la calce poteva essere estratta solo quando il fuoco si fosse spento e il forno raffreddato.

Forno della Calce di Tonara

Le pietre, venivano selezionate e conservate in recipienti al riparo dell'aria perché non perdessero le proprietà leganti in seguito, la calce viva veniva spenta immergendola in una quantità d'acqua pari alla metà del suo peso, provocando così la disintegrazione delle pietre.
La calce, veniva usata come materiale da costruzione unita alla sabbia, come intonaco e come disinfettante particolarmente in agricoltura.