La prima documentazione iconografica dov'è riprodotto in una tempera il costume di Meana, compare nella collezione ‘Luzzietti', una collezione di proprietà dell' Università di Cagliari. Gli acquarelli non presentano alcuna firma ma, l'autore viene identificato con il nome di A.Verani.
 
     
 
 

-Gabbanella nera con cappuccio, foderata in rosso.
- Berretta con punta.
-Camicia aperta sino alla cintura, di pelle scura. Da questa, fuoriesce l'impugnatura di una corta arma da taglio.
-Ragas nere, calzoni bianchi al ginocchio, sotto i quali giungono i borzacchini neri.
-Scarpe nere ed il consueto fucile sulla parte sinistra.

 
 
 

Il costume femminile rappresentato nella tempera è completamente nero. Possiamo ipotizzare sia una foggia usata soprattutto dalle donne in lutto.
-Manto: Completamente nero e soprattutto molto ampio, il manto, posizionato sul capo riusciva a coprire la camicia bianca dalla lunga scollatura chiusa pare, da dei bottoni.
-Gippone scarlatto.
-Gonna: Si presenta di colore nero e interamente aperta sul fianco destro, dal quale è visibile la sottogonna bianca. La figura di sinistra ha calze bianche e scarpe nere, la figura di destra invece, indossa un manto rosso ed è scalza.

 
 

il costume maschile si presenta con un corpetto di velluto turchino in sostituzione al ‘cojetto' formato da pelli conciate di muflone o da altri animali selvatici.

Sopra al corpetto, è usanza indossare un cappotto con il soppanno dello stesso velluto con lavori a trapunto mentre, quando fa gran freddo un ‘ gabbano ' che arriva fino ai talloni. Le gambe, sono vestite all'antica con grandi calve di sajo, legate al pantalone sopra le ginocchia mentre d'estate, con borsacchini di pelle. Ai piedi, grandi scarpe e grosse con 5 o 6 suole chiodate intorno e, sul capo il solito berretto di uno od altro colore.

 

Le donne, vestono una gonnella di sajo rosso chiaro (obalci), molto crespata sui fianchi, ricingosi di una striscia di sajo rosso scuro orlata di un largo nastro turchino e adattano alla vita un busto o corsaletto , in menaese ‘sa palabascia' di velluto azzurro o rosso. Sopra questo, durante l'inverno, era tradizione indossare un giubbone di panno rosso scarlatto o di velluto turchino con le maniche lunghe sino al polso, in meanese su cippone' , le quali pero si sogliono avere rovesciate sino al polso per mostrarne la fodera in seta di color turchino.

 
 

Nell'estate, usavano raccogliere i cappelli in fascio o in trecce entro una cuffia, ponendovi una benda di tela lunga da due metri e mezzo e larga 30cm che facevano passare una volta sotto il mento per poi riunirla sulla fronte con una spilla, lasciandone cadere le due estremità sulle spalle oppure, ripiegandole in bella foggia. Il costume femminile di meana, si distingue in tre modelli ossia, quello per lutto, giornaliero e festivo.

         
Il Pane 'e Saba, è un antico dolce che si usava portare in dono a San Giorgio in occasione dei suoi festeggiamenti.
La preparazione di questo dolce, è sempre stata avvolta da una sorta di mistero, c'è chi parla d'ingredienti segreti che non sono mai stati svelati, questo, non si sa se sia vero ma,

sta di fatto che in questo modo si è voluto dare un marchio doc a questo dolce di tradizione Meanese. In realtà il vero segreto sta nella preparazione che richiede molta cura e diverso tempo mentre, l'ingrediente fondamentale, ed anche caratteristico del luogo, è la Sapa un liquore molto denso e scuro dal sapore dolciastro, ottenuto dalla lunga e lenta cottura del mosto d'uva che viene utilizzato al posto dello zucchero.

Per 1 kg di farina, occorre circa mezzo litro di Sapa e 30 gr. di lievito di birra che dev'essere sciolto in un po di sapa e mezzo bicchiere di acqua tiepida. Il liquido ottenuto dovrà essere versato, insieme al resto della sapa, sulla farina e dare inizio alla lavorazione. L'impasto va lavorato a fondo, prima e dopo l'aggiunta di un pizzico di sale e di cannella, delle mandorle, delle noci, dei pinoli e dell'uva

passa. La lievitazione è fondamentale per la buona riuscita del dolce.